Questa trascrizione è stata scritta da Damir Chernichenko. Se vuoi aiutare anche tu con le trascrizioni del podcast contattaci!
[SIGLA INTRO: Musica, canzone con testo:
“I just know you got that somethin’,
That somethin’,
Somethin’ special ‘bout you!”]
Allison Dye:
Ciao a tutti, io sono Allie. Prima di iniziare ad ascoltare questa puntata, ci tenevamo a dirvi che parleremo di alcuni argomenti molto pesanti che riguardano la depressione. Se per voi potrebbe causare dolore per qualsiasi motivo, vi chiediamo di non ascoltare oggi. Andate ad ascoltare piuttosto un’altra puntata. Sono tutte belle.
Ogni storia è importante, bella, unica e speciale. Anche la storia di ognuno di voi che sta ascoltando in questo momento. Perciò, saltate questa puntata se è meglio per voi. Se invece continuate, vi spoilero che sarà una puntata bellissima. Il nostro ospite è coraggioso e sincero.
Vi mando un abbraccio virtuale.
*INTRO
Allison Dye:
Ciao a tutti e benvenuti al Podcast, ma non sembri malata, io sono Allie, sono qui con Nikita.
Nicole Calvani:
Ciao a tutti.
Allison Dye:
E oggi abbiamo un ospite davvero speciale, Luca di Pasquale.
Luca Di Pasquale:
Ciao a tutti, ciao.
Allison Dye:
Luca, siamo contentissimi tutti, anche chi ascolta, parlo anche per loro, di averti qui come ospite. Innanzitutto dico, io e Luca ci conosciamo da un bel po’ di anni, abbiamo fatto le medie insieme. Eravamo in classi diversi, ma eravamo comunque sempre nella stessa scuola, ci incontravamo a recreazione, prima o dopo scuola, ed è bello parlare di nuovo con te dopo tutti questi anni, Luca.
Luca Di Pasquale:
Sì, sì, anche per me veramente tanto.
Allison Dye:
Però oggi vogliamo parlare della tua storia e di te. Prima di incominciare magari vuoi dire a tutti chi sei, quanti anni hai, di dove sei, un po’ cose di te prima di iniziare, dai.
Luca Di Pasquale:
Abito a Scerni in un piccolo paesino in Abruzzo. Abito non in paese, in campagna. Ho 22 anni. Diciamo che la mia passione è la cucina e giardinaggio e amo tantissimo gli animali.
Allison Dye:
Bellissimo, bellissimo, davvero. Allora, tu oggi sei qui per non raccontare di una disabilità, ma una cosa invisibile che tu combatti ogni giorno e non vede nessuno, proprio come una malattia invisibile, come quella di Nicole o quella mia, no? Vorresti raccontarci un po’ di questa cosa?
Luca Di Pasquale:
Diciamo che è una storia un po’ intrecciata. Ho sempre pensato di avere qualcosa di diverso perché tendevo a soffrire di ansia anche se non mi succedeva nulla attorno. Anche quando ero piccolo e quindi uno è più, diciamo, spensierato, non dovrebbe avere problemi. Però tendevo sempre a crearmi dei problemi anche se non c’erano. Pensavo continuamente, mi facevo continuamente delle domande durante tutto il giorno, mi ricordo, da quando facevo l’asilo almeno.
Mi facevo domande su domande su Perché ero nato, perché esisteva il sole, perché gli alberi sono fatti così. Mi facevo domande su domande e cercavo di rispondermi da solo.
Allison Dye:
Sì.
Luca Di Pasquale:
Avevo sempre tanti pensieri in testa. Fin dalle elementari, diciamo che sono stato sempre abbastanza tranquillo, ero sempre comunque scherzoso, giocherellone.
Allison Dye:
Sì.
Luca Di Pasquale:
Ero abbastanza come un bambino normale, insomma. Poi ovviamente crescendo, sia penso a causa dell’adolescenza, sono diventato sempre più timido e anche a causa comunque dei miei coetanei, insomma, che comunque vedevano che io avevo un carattere diverso da loro. Io tipo non ho mai detto una parolaccia. Non facevo le cose che facevano loro, non facevo i loro stessi sport, non mi piaceva uscire e avevo un’amica femmina, insomma, e quindi avevo completamente, diciamo, passioni diverse dalle loro. E quindi hanno iniziato comunque, dalle fine elementari, in modo più, diciamo, tra virgolette, bambinesco.
Non era proprio una presa in giro, però comunque già iniziavano a prendere in giro. Per il fatto che stessi sempre solo con una persona e non mi mischiassi, e per il fatto sempre delle parolacce. Poi con le medie è peggiorato proprio tutto, perché sai, quando uno inizia a crescere, poi la presa in giro magari più scherzosa da bambina diventa sempre più pesante. Quindi iniziavano più a fare distinzioni, nel senso a prendermi in giro sul fatto che non capivano perché non avessi amici maschi. o perché non uscissi con il gruppo di maschi, quindi hanno iniziato comunque a parlare tutta la classe su di me, tranne una persona o due che comunque erano più mie amiche.
Quindi hanno iniziato sempre più a spargere la voce per il paese. Non so, si sono inventati talmente tante cose che sicuramente non mi ricordo… si inventavano tantissime cose.
Nicole Calvani:
I paesini sono i peggiori, che parte una cosa e poi finisce con un’altra.
Luca Di Pasquale:
Sì, perché poi si rasparsa la voce anche tra i più piccoli o tra i più grandi, quindi non era solo dei miei coetanei, perché il paese era talmente piccolo che comunque… Io ero anche all’oscuro di tutto, sinceramente, perché hanno iniziato con il ridere di me quando io ero in classe o quando uscivo da scuola, oppure quando uscivo per il paese quelle poche volte che comunque diciamo mi veniva obbligato da mio padre perché sennò avrei preferito rimanere in casa. Quindi questi tre anni delle media insomma era tutto fatto di comunque risate e prese in giro comunque molto più pesanti anche magari chiamate e messaggi anonimi e messaggi commenti su Facebook. Sì su Facebook perché commentavano dicendomi sei un mostro, sei diverso. mi commentavano tutte queste cose sotto le foto.
E io ovviamente subito cancellavo i messaggi, però non… mi faceva stare male, però me lo tenevo dentro, quindi non avevo… non piangevo, non facevo nulla, non riuscivo a sfogarmi, mi raccumulava dentro sempre di più. Una volta mi è anche capitato che, sempre costretto da mio padre, mi sono dovuto iscrivere a pallavolo, e lì lo stesso c’era un ragazzo, mi ricordo, che aveva un anno in meno di me. E comunque lo stesso mi prendeva in giro, anche se lui in realtà non mi conosceva.
E lo stesso mi buttava le cose nel cestino, tutte le cose di pallavolo, me le ritrovavo ogni volta buttate nel cestino, insomma. Io però non lo so, per me era diventata in realtà una cosa normale, perché ormai erano passati tre anni e tutti lo facevano. cioè non riuscivo a capire cosa avevo di diverso. Quindi non piangevo, non lo raccontavo ai miei genitori, né alle amici, nemmeno con magari le amiche più strette. Mi ricordo una volta mi aveva anche, mentre aspettavo mio padre, eravamo tutti e due fuori e lo stesso lui comunque mi ricordo, aveva preso, mi ricordo, un ramo, una cosa del genere, mi aveva iniziato a menare con questo ramo.
Io poi sono, non lo so, ero rimasto bloccato, non riuscivo, perché io poi non riuscivo a parlare, non sapevo parlare, non uscivano mai le parole, quindi ero rimasto proprio bloccato. Non so, senza che io avessi mai fatto niente, senza che ci conoscessimo, aveva questa prepotenza verso di me. E poi da lì non sono nemmeno più andato a pallavolo.
Allison Dye:
Sì, sì, ci credo.
Luca Di Pasquale:
Diciamo che poi ho iniziato sempre più a soffrire di ansia, anche se non sapevo fosse ansia, non capivo cosa fosse.
Nicole Calvani:
Sì, a un momento in cui non ti sfogavi, non riuscivi neanche magari a distinguere alcune emozioni, immagino.
Luca Di Pasquale:
Sì, sì, sì, sì, infatti. Perché non riuscivo a capire quando ero arrabbiato, quando ero triste, perché mi tenevo talmente tutto dentro che io fuori apparivo normale, cioè come se non mi succedesse niente. Però mi ricordo la prima volta che ho iniziato a soffrire magari più di ansia, era alle medie, perché alle elementari lo stesso, avevo sempre pensieri, pensavo molto, avevo sempre la testa piena, soffrivo spesso di un’antitesta. dall’elementare sono spesso andato dai medici, negli ospedali, perché non capivano perché avessi sempre il mal di testa. Soffrivo proprio di forti emicranie, ho fatto vari controlli, però non riuscivano a capire come mi facesse male la testa.
Infatti poi mi hanno fatto andare anche dall’ottico e mi hanno fatto mettere degli occhiali da riposo perché pensavano che stare troppo tempo con i libri mi facesse venire il mal di testa. Invece ho indossato gli occhiali per tanto tempo, però poi mi hanno iniziato a farmi venire ancora più mal di testa gli occhiali. Insomma, mi sono portato a questo mal di testa per tanto, tanto, tanto tempo, perché da quello che mi ricordo io dalle elementari fino a due o tre anni fa, prima che scoprissi cosa avessi, insomma, ho sempre sofferto di mal di testa tutti i giorni, di emicrania forti. Dovevo prendermi ovviamente, mi prendevo OKI o comunque medicine così. E spesso mi ricordo i miei genitori non mi credevano nemmeno più che avessi mal di testa, pensavano che me lo inventavo.
E quindi io poi andavo a chiedere le medicine a mia nonna e mia nonna poi non me le voleva più dare. E poi mi ricordo, quando ero diventato un pochino più grande, erano lo stesso le medie, me le andavo a comprare io, mi ricordo, però quelle senza ricetta. Perché non mi passava, cioè mi faceva troppo male, non riuscivo… era, sai quel mal di testa che ti prende proprio dentro, proprio me lo sentivo negli occhi e alle tempie. Mi partiva anche dietro, dietro al cranio
e non riuscivo a fare niente, non riuscivo più a pensare, non riuscivo… però non mi credevano. Quindi sono stato costretto per tantissimo tempo a prendere la medicina da solo. Le portavo a scuola e quando uscivo li avevo sempre a portata di mano. Infatti poi ho dovuto cambiare spesso farmaci perché non mi facevano più effetto.
Uno prende sempre lo stesso farmaco e poi il corpo non lo… diciamo diventa quasi immune.
Allison Dye:
Sì, è vero.
Luca Di Pasquale:
Perché uno passa tanti anni che prende sempre la stessa medicina…Per fortuna non mi hanno mai fatto male, nel senso stavo sempre attento a prenderli dopo che magari avevo mangiato, però per fortuna non ho mai avuto problemi. Però non si fa, ovviamente. Bisogna sempre dirlo. Poi alle superiori mi ricordo che io sono andato… ero proprio contento di iniziare le superiori perché sai, cambiare paese, quindi la scuola, perché io ho iniziato a fare la scuola a Vasto, ho scelto un istituto commerciale, quindi fuori dalla mia città, dal mio paese.
Era a 30 chilometri da casa mia e quindi ero proprio contento perché lì nessuno mi conosceva e quindi pensavo che comunque si calmasse tutta la situazione. Di fatti, lì ho trovato tante belle persone, perché comunque avevo scelto un settore che erano quasi tutte ragazze, perché erano un istituto commerciale che si facevano sia le… il settore che ho scelto io sia le lingue che l’economia. Quindi la classe era la maggior parte di ragazze e c’erano cinque maschi. Però erano…
comunque sempre stati bravi con me. Erano diventati tutti miei amici. E per un po’ di tempo non ho avuto più mal di testa, infatti poi non ho preso più le medicine. Però poi lo stesso… Comunque mio padre continuava a dirmi di uscire e quindi nel mio paese era sempre più aumentato, nonostante ognuno avesse scelto una scuola diversa, il paese era sempre quello.
Quindi io ero arrivato a un punto che non potevo più uscire. Infatti mi ricordo io andavo, uscivo sempre con la mia amica e rimanevo, cercavo di stare il più tempo possibile, perché lì era molto lenta. a cambiarsi e così. E a me mi piaceva che fosse lenta, perché io andavo, mi faceva sempre andare a casa sua e ci incontravamo a casa sua e lei intanto si faceva la doccia, si vestiva, si truccava, si cosava. Io intanto stavo là per i fatti miei, mi portavo un libro e mi piaceva proprio come pomeriggio, perché lei era proprio lenta.
Cioè, lei ci programmavamo alle quattro e uscivamo alle sette, tipo.
Nicole Calvani:
Grande.
Allison Dye:
E tu stavi tranquillo con il libro!
Luca Di Pasquale:
Sì, sì, mi piaceva proprio il fatto che lei fosse lenta. Però allo stesso tempo poi quando uscivamo e iniziavano gli incubi, perché io proprio Era arrivato un punto che io, quando andavo a un passeggio la sera, qualsiasi persona incontravo, qualsiasi gruppo, che sia di ragazzi o di ragazze, mi prendevano in giro, ridevano, mi urlavano contro, mi dicevano cose sulla mia persona, mi facevano stare male.
Nicole Calvani:
Ti bullizzavano, insomma, dalla mattina alla sera, tra virgolette, ecco.
Luca Di Pasquale:
Sì, sì, era un incubo per me uscire. io stavo col telefono, mi ricordo, fissavo il telefono e non cambiavo lo sguardo. Poi quella mia amica mi difendeva un po’ e poi io diciamo che cercavo subito di andare nella pizzeria, mangiavamo e io mi facevo subito venire a riprendere perché c’era, era diventato proprio pesante come cosa da… avevo proprio paura. Infatti ho poi iniziato a soffrire anche di problemi di schiena perché camminavo sempre a testa bassa e avevo sempre di più le spalle in avanti, come se mi chiudessi a riccio.
Quindi per tanti anni ho sofferto anche di mal di schiena e la sera quando mi allungavo nel letto che dovevo dormire, mi faceva tantissimo male la schiena perché si rimetteva dritta, il letto è dritto, si rimetteva dritta la schiena e quindi mi faceva male tutte le ossa. Diciamo, il culmine proprio l’ho avuto nel terzo superiore quando avevo, diciamo, accomunato tutto nel corso degli anni e quindi ho iniziato a sfociare all’inizio con l’ansia sempre più forte e poi con gli attacchi di panico che io non sapevo cosa fossero. perché mi iniziava a mancare l’aria, mi si chiudeva la gola, iniziavo ad avere la nausea, a sudare, a sentire freddo, e tutto questo io facevo il terzo superiore e comunque avevo litigato anche con le mie ultime due amiche, quindi ero rimasto anche da solo. Poi c’era stato il cambiamento di corso, perché in terzo si può cambiare il corso, e quindi mi sono ritrovato in una classe completamente nuova, con persone che non conoscevo, e quindi poi da lì è iniziato proprio tutto il mio calvario perché poi nessuno mi ha capito e ho iniziato a sentirmi sempre più triste senza che capissi come mai. Infatti a scuola mi ricordo che ho passato la maggior parte dei mesi del terzo superiore, li passavo in bagno perché andavo li a vomitare, non mangiavo e passavo giorni senza mangiare.
e i miei genitori non capivano mai. Però loro comunque, negli orari in cui io tornavo da pranzo, diciamo che loro non c’erano, quindi io riuscivo comunque a camuffare come se avessi mangiato. In realtà poi magari lo nascondevo, lo buttavo il cibo, i panini. Avevo sempre questa forte ansia, attacchi di panico, che poi ho scoperto un anno dopo. E tutto è scoppiato anche a causa di una professoressa che non riusciva a capirmi, perché pensava che io lo facessi apposta a uscire dall’aula.
Nicole Calvani:
Grazie all’attenzione.
Luca Di Pasquale:
Sì. Quindi io chiedevo spesso di andare in bagno durante l’ora. Cioè, non riuscivo… avevo gli attacchi di panico praticamente tutte le ore. Non riuscivo…
erano pochi minuti in cui non li avevo. E quindi io chiedevo di andare in bagno tantissime volte nell’ora. E lei però era una delle professoresse più severe della scuola. Infatti, mi ricordo che molti alunni avevano cambiato anche scuola a causa sua. E comunque, diciamo che io avevo tantissime ore con questa professoressa.
Quindi le ore in cui io dovevo uscire erano praticamente tantissime, perché lei occupava quasi tutte le materie. Quindi lei ha iniziato anche a costringermi a rimanere seduto in un angolo. Mi distaccava dalla classe, come se fossi un problema. Non mi faceva alzare. Io chiedevo continuamente di uscire perché non riuscivo a spiegarle cosa avevo.
Le dicevo solo che dovevo andare in bagno perché non mi sentivo bene. Io non capivo ancora cosa avessi. c’era l’ansia, perché io non sapevo neanche cosa fossero queste cose. Quindi io chiedevo semplicemente di andare in bagno perché non mi sentivo bene. Comunque lo vedeva perché comunque mi agitavo, iniziavo comunque a studare, comunque ad avere la nausea.
Però lei era arrivato a un culmine in cui comunque mi ricattava dicendomi che se fossi uscito un’altra volta lei avrebbe chiamato i miei genitori. E io avevo proprio paura di questo perché non volevo assolutamente che i miei genitori lo scoprissero che c’erano, diciamo, questi problemi. Non volevo proprio, perché comunque già non ci parlavamo, non avevo un grande legame né con mia mamma né con mio padre, perché mio padre comunque era più, diciamo, veramente un po’ più chiuso, tra virgolette, e mia mamma era comunque severa, diciamo. Ora è cambiata, però prima era proprio severa.
Allison Dye:
Poi devo dire che tante volte magari i genitori ti vogliono bene e quindi fanno quello che pensano che sia meglio. E a volte è sbagliato. Io so che i miei genitori non sono stati per niente perfetti, però riconosco che stavano facendo il loro meglio, come tutti. E quindi penso anche in quel caso loro facevano il loro meglio con quel che conoscevano, con quel che sapevano magari. E questo, diciamo, è difficile certamente, però almeno questo lo possiamo sapere, magari da più grandi possiamo riconoscere almeno che facevano il loro meglio.
Luca Di Pasquale:
Sì, sì, ora assolutamente li ho capiti e comunque li ho anche perdonati, perché comunque loro non hanno mai avuto episodi, non sapevano come comportarsi. In più, loro avevano tutti e due, tutti i miei due genitori avevano tutti e due i loro genitori, che sarebbero i miei nonni, sia dalla parte mia mamma che di mio padre super severi, erano stati severi già da loro da piccoli.
Allison Dye:
Certo, sì.
Luca Di Pasquale:
Facevano lavorare da piccoli, non li facevano uscire, era tutta una realtà più antica, quindi anche loro l’hanno fatto con me.
Allison Dye:
Per loro era normale, era la cosa giusta da fare, per loro questo era amore.
Luca Di Pasquale:
Sì, sì, sì.
Nicole Calvani:
Sì, perché se ne parlo poco comunque di discorsi tipo di ansia, attacchi di panico, di anche problemi cognitivi, come anche nel mio caso sono stata tanto bullizzata per quello, a volte i miei genitori non mi hanno capito, spesso e volentieri pensavano che volevo attirare l’attenzione, ma per mancanza di informazione nelle scuole uguali.
Luca Di Pasquale:
Esattamente. Infatti 4-5 anni fa in tv non si sentiva per niente a parlare né di bullismo, né di attacchi di panico, né di ansia, né di depressione. Infatti non lo sapevo ne io, né i miei genitori, nessuno l’aveva mai sentito e loro comunque non avevano mai avuto episodi nemmeno in paese, quindi non avevano mai sentito parlare. In più dialogavano poco con me, comunque lavoravano tutti e due tanto. E non erano mai stati tanto affettuosi con me e a questo anche mi è mancato tanto.
Mi mancavano proprio gli abbracci, mi servivano. Comunque, avevo sempre, ricollegandomi a scuola comunque, avevo proprio paura che mia mamma specialmente lo venisse a scoprire. E quindi io poi ho continuato per altri mesi a rimanere in classe e questa cosa però mi ha fatto sempre più peggiorare gli attacchi di panico. perché iniziavo proprio a diventare, cioè, viola perché non mi si vedeva proprio la gola e mi sentivo proprio un masso sullo sterno. E’ arrivato un punto che io praticamente ho dovuto proprio violare, diciamo, le regole che aveva inposto la professoressa.
Quindi io mi ricordo l’ultimo giorno che io sono andato a scuola, io sono uscito anche senza il suo permesso, lei infatti, e mi aveva rincorso, mi aveva mandato in vicepresidenza. Io, è stato quello, è stato l’ultimo giorno passato in quella classe, in quella scuola, perché non riuscivo più a stare seduto, non riuscivo proprio, non riuscivo a respirare. E quindi lei lo stesso mi manda in presidenza, comunque, ha fatto un foglio con tutti i professori su quello che mi era successo, insomma, mi voleva anche espellere, non so, è successo un macello. Non mi ricordo nemmeno più perché proprio ho cancellato completamente quel giorno, perché non sono più rientrato in quella scuola. Insomma, poi da lì ho iniziato tutto il mio percorso per capire cosa avessi.
I miei genitori all’inizio mi portarono dal mio medico di famiglia per capire cosa avessi, perché pensavano che fosse una cosa fisica, fisiologica, non una cosa mentale. Mi hanno portato semplicemente dal medico di famiglia del mio paese. Però lo stesso lui comunque non capiva, non capiva, pensava che non volessi più andare a scuola. Invece questa cosa infatti, i miei genitori risultava strana, perché comunque Io amavo proprio andare a scuola. Mi piaceva proprio studiare, cioè…
Allison Dye:
Leggevi sempre!
Luca Di Pasquale:
Sì, mi piaceva tanto leggere. Ero il primo della classe, aiutavo gli altri, facevo gli schemi ai miei compagni. Alcune volte ho fatto anche degli schemi a ragazzi più grandi di me, che facevano il quinto, e aiutavo con i compiti. E aiutavo mia sorella, che doveva fare l’esame del quinto, io facevo il secondo superiore. Diciamo che i miei genitori non riuscivano infatti a capire come mai tutto di colpo questa cosa.
Quindi da lì mi hanno portato al mio primo psicologo, che però è stato, diciamo, terribile, perché non tutti gli psicologi o dottori capiscono subito cos’ha una persona… quindi prima di capire proprio bene la diagnosi bisogna passarne tanti di dottori. Infatti mi ricordo questo psicologo che era di Vasto, un paesino vicino a casa mia, cioè dove andavo a scuola, che mi ricordo mi aveva fatto una seduta di un’oretta quella era la mia prima volta, cioè avevo paura, non capivo perché mi avessero portato lì. E lui, insomma, cercò di convincermi a ritornare a scuola facendomi degli esempi della paura, mi ricordo, senza avermi fatto parlare, però, perché io non ho parlato per niente. Quindi lui ha scritto su un folio, tutte, non mi ricordo cosa ha scritto, che ormai sono passati cinque anni, ha scritto delle cose sul folio per farmi rimettere a scuola.
Insomma, lui è stato insieme alla mia professoressa mi hanno fatto peggiorare perché lui mi voleva costringere a tornare a scuola. Però io sono riuscito a non andarci perché io non riuscivo proprio a entrare all’entrata. Cioè, non avevo l’incubo di quei corridoi, di quei bagni, di quei professori, di quei bidelli, perché nessuno mi aveva mai aiutato. Vedendomi in quello stato che avevo, perché tutti sapevano che stavo male, però mi rimproveravano tutti, sia bidelli che professori. Nessuno mi ha mai capito in quella scuola, nessuno.
Poi mi ricordo, dopo quello psicologo, sono andato da un’altra psicologa che si trovava a Gissi, che è lo stesso paesino vicino a casa mia dove abitava mia zia. E lei me l’aveva consigliato perché comunque mia zia soffriva di ansia e mi ha consigliato di andare da questa ragazza che comunque si era appena laureata e aveva comunque avuto delle esperienze in molti centri, a Roma, in altre città. E infatti poi da lì si è scoperto tutto, mi si è aperto proprio tutto il mondo, perché io poi lì ho passato 20 mesi da lei, ho fatto quasi due anni di terapia da lei, era giovane, quindi si comportava con me proprio come se fossi un suo amico o suo figlio. Mi ricordo che mi lasciava parlare, cosa che col primo psicologo non era successa. Invece lei mi lasciava parlare, parlare tutto il tempo, non c’erano limiti.
E quindi io poi da lì ho iniziato a sfogarmi, é stata la prima persona con cui mi sono sfogato. E ho iniziato diciamo a cacciare tutto quello che avevo dentro, perché mi ha aiutato lei, perché io non sapevo da dove iniziare, non sapevo cosa dire, non sapevo cosa avessi dentro, non lo sapevo nemmeno io. Però lei comunque mi stava accanto e mi ha capito, mi ha aiutato, mi ha dato dei consigli. Per la prima volta sono riuscito a piangere, perché io mi ricordo, io non ho mai pianto. Cioè da quello che mi ricordo io, pure i miei genitori mi hanno detto, io era raro che piangevo.
Forse all’asilo é capitato qualche volta, ma io da piccolo fino a tutt’ora è raro che piango. Non ho mai avuto questo. Non riesco proprio, non riesco a sfogarmi col pianto. e quindi lei è stata la prima volta con la persona con cui avevo pianto e insomma con lei ci ho passato due anni, mi ricordo, ma ci andavo volentieri da lei e lei lo stesso mi ha fatto la prima diagnosi di… la prima volta che abbiamo capito cosa avevo che non…
perché avessi sempre quel mal di testa e sempre… quell’ansia che avevo da piccolo, perché avevo sempre quei pensieri in testa. Quindi mi hanno diagnosticato, mi ricordo all’inizio, il disturbo di ansia e attacchi di panico. Un anno dopo mi sono stato diagnosticato da un neuropsichiatra, anche la depressione maggiore.
Nicole Calvani:
Al momento che hai ricevuto le diagnosi, come ti sei sentito? Cosa hai pensato?
Luca Di Pasquale:
Allora, in realtà io ero piccolo e avevo 16 anni, avevo appena fatto 16 anni, quindi io non capivo tutto quel mondo, quei dottori, non sapevo nemmeno che esistessero. Non capivo, però una volta che mi hanno dato quel nome a quella patologia che avevo, mi sono sentito più libero, perché sapevo che quei mal di testa che avevo, quelle ansie che mi si creavano, quei pensieri avevano un nome. Io pensavo che era una cosa normale e con cui dovevo conviverci a vita, invece era proprio una cosa che comunque può scaturire. Poi mi è stato spiegato da vari dottori che può essere sia un fattore genetico che ambientale, che c’è una piccola percentuale che si riprende in famiglia. Infatti poi abbiamo scoperto che comunque molti nostri parenti o familiari comunque hanno sofferto e soffrono ancora di ansia, attacchi di panico e depressione, sempre, sia dalla parte di mia mamma che di mio padre.
Però ovviamente tutto questo è stato accentuato anche da diciamo, dal bullismo che ho dovuto sopportare per tanti anni. Perché sennò sarebbe stato molto più lieve, diciamo. Però, non lo so, ero sereno quando mi hanno… mi ricordo che ero, non lo so, ero contento perché andavo volentieri da lei e il fatto che io mi informavo molto sulle enciclopedie, ormai esisteva già internet, su internet, su wikipedia, quindi sapere quello che avevo, tutti i sintomi che avevo li riconducevo a quei nomi, a quelle patologie che mi hanno detto. Mi faceva stare meglio.
Da lì ho iniziato, ho intrapreso anche una cura farmacologica, perché comunque solo la terapia non basta. Poi ovviamente dipende sempre da caso a caso.
Allison Dye:
Certo certo.
Luca Di Pasquale:
Perché comunque non riuscivo a controllarli, nonostante i consigli che comunque mi dava questa psicologa, non riuscivo comunque a controllarli. Ormai erano peggiorati. Ormai avevo gli attacchi di panico in ogni momento della giornata. Non potevo più uscire perché prima di andare dal parrucchiere dovevo, mi ricordo, mi era avvenuto un attacco di panico prima di andare dal parrucchiere senza motivo.
Nicole Calvani:
Ecco.
Luca Di Pasquale:
E sono rimasto in macchina per un’ora per farmelo passare perché i miei genitori ancora entravano bene nell’ottica, diciamo, delle malattie psichiche. Quindi mi dicevano solo che dovevo aiutarmi e calmarmi. Mi ripetevano sempre le stesse cose, insomma. A me questa cosa mi faceva stare ancora più male perché non capivano che non era una cosa che io potevo controllare. Era una cosa che se ne andava da sola non riuscivo a fermare.
E loro ancora entravano proprio nell’ottica di questo mondo. Poi ci sono voluti almeno un paio d’anni che poi mi hanno capito proprio. E poi insomma ho iniziato a prendere i farmaci per l’ansia e gli attacchi di panico per riuscire a controllarli. Anche i farmaci per la depressione perché mi è venuta subito dopo gli attacchi di panico e ho scoperto che mi erano iniziati già quando facevo il terzo superiore, perché mi ricordo che quel periodo ero sempre triste e mi veniva sempre da piangere, anche se senza un motivo, non riuscivo a capire perché. In più non riuscivo a sforzarmi, non riuscivo a piangere.
Però ero sempre triste, ero negativo su tutto, nel senso che io ero sempre stato positivo in tutta la mia vita, ero sempre scherzoso, sempre solare e non riuscivo… mi si era proprio tutto quanto incubito, vedevo tutto grigio nero.. dicevo sempre così. Per tanti anni l’ho detto perché vedevo veramente tutto grigio nero, perché ogni attimo della giornata io mi sentivo triste e ogni cosa che avevo intorno a me non mi dava più gioia. Non riuscivo a fare, a svolgere le piccole azioni quotidiane, la mia camera mi metteva ansia, il mio letto mi metteva tanta tristezza, mi metteva angoscia.
Lo stesso comunque non riuscivo a mangiare, ero anche dimagrito di 10 chili quel periodo.
Allison Dye:
Mamma mia.
Luca Di Pasquale:
Perché rivomitavo sempre quello che mangiavo. L’acqua pure non riuscivo a berla. Io sono sempre stato un grande bevitore di acqua e bevo solo acqua. Quindi bevevo tanta acqua, però anche l’acqua non riuscivo a berla. Vedevo tutto negativo, non avevo più la speranza di vivere la giornata che doveva arrivare il giorno dopo.
La mia famiglia non mi dava più un senso di…Sembrava che erano diventati neutrali per me, come se convivessi con delle persone che non conoscevo. Ho iniziato a scordarmi le cose. Non riuscivo a ricordarmi, questo è sempre un sintomo della depressione, che c’è chi dice, ormai si usa molto dire, quando uno magari si lascia o vive dei momenti tristi, ormai si usa dire che ho la depressione. Però la depressione è proprio una malattia, questo molta gente non lo capisce. Ha proprio dei sintomi e non è semplice tristezza.
Ha dei sintomi. mi ricordo, uno dei sintomi maggiori era che io non mi ricordavo più le cose, non avevo più memoria. Mi ricordo ancora tuttora che quando mi parlavo con mia sorella e passavano due minuti io non mi ricordavo che avevo parlato con lei. E questa cosa mi metteva ancora più ansia e tristezza perché io non mi ricordavo le cose che avevo vissuto pochi minuti prima. Cioè, non mi ricordavo le parole che uno mi diceva e non mi ricordavo le cose che avevo vissuto il giorno prima o che tempo aveva fatto magari la mattina stessa.
Ho iniziato a soffrire di perdita di equilibrio, quindi facevo fatica a stare in piedi. Comunque ero diventato tanto debole perché comunque mangiavo poco, quindi mi ricordo che quel periodo il medico mi aveva prescritto delle vitamine da bere, non mi ricordo. Comunque sempre cose da bere che mi rinforzavano un po’. Però, non lo so, ero sempre triste. Mi ricordo che quel periodo piangevo tutti i giorni.
Ormai ho iniziato a piangere con una semplicità proprio pazzesca. Piangevo tutto il giorno. Mi sembrava tutto triste. Anche se mia mamma aveva iniziato ad abbracciarmi o comunque mi davano parole di conforto, non mi davano effetto. Non mi facevano né caldo né freddo.
Non provavo niente. Un sintomo era di non provare più emozioni, perché non provavo né gioia né felicità né speranza. Avevo sempre questa forte tristezza e negatività. E coi giorni aumentava sempre di più. Mi ricordo che sono passati tanti mesi.
Non riuscivo ad alzarmi dal letto e ho iniziato anche ad avere paura del buio. Il buio mi metteva ancora più ansia. Avevo lo stesso comunque attacchi di panico durante tutto il giorno, alternati all’ansia, alla tristezza, era tutto un roteare di queste tre cose. I miei genitori comunque non riuscivano a capire perché comunque io ancora iniziavo a prendere i farmaci per la depressione, ma solo qualcosina mi ricordo per gli attacchi di panico. Poi si è scoperto che comunque era anche la cura sbagliata.
Perché poi comunque mi ricordo che un farmaco mi aveva fatto peggiorare, perché comunque tutti i farmaci hanno degli effetti collaterali. Prima di trovare quello giusto ci vuole tanto tempo. Quindi ricordo il primo, perché io sono andato da tanti neuropsichiatri, psichiatri, psicologi. Mi ricordo che ero andato da una psichiatra che mi aveva prescritto un farmaco troppo forte per la mia età. Quindi sempre per la depressione.
Mi ricordo che ho avuto una forte caduta perché a causa di anche questo farmaco che mi aveva peggiorato i sintomi che avevo. E quindi ho iniziato ad avere pensieri negativi sia su me stesso che sulla mia vita. E ho iniziato a pensare proprio che non avevo… a me mi è sempre piaciuta… vivevo proprio ogni giorno al massimo, però ho iniziato proprio a pensare di voler finire tutto perché non trovavo più gioia intorno a me.
Cioè, ero rimasto… mi sentivo da solo, come se stessi proprio affogando in un mare buio. E tutta la mia famiglia, tutte le persone che c’erano nel mio paese, nel mondo, rimanevano a galla. Cioè io sprofondavo sempre di più la mia vita. Cioè, io sprofondavo sempre di più.
Ho iniziato comunque a soffrire anche di autolegionismo, perché avevo tanta rabbia dentro di me e lo risolvevo comunque facendomi male. Questa cosa poi è durata un annetto, perché poi ho dovuto di nuovo cambiare il farmaco e quindi poi questa cosa, diciamo, si è alleviata un po’ di più, perché prima avevo sempre una forte rabbia.
Allison Dye:
Beh Luca, trovare il farmaco giusto non è assolutamente facile e sei stato molto molto forte davanti a quei momenti davvero difficili che poi mi fa pensare ad un giorno in particolare che ci avevi raccontato in cui sei stato per me fortissimo perché sei ancora qui. Vorresti raccontarci di quel giorno?
Luca Di Pasquale:
Mi ricordo poco sinceramente di quel giorno perché essendo che non mi ricordavo le cose, questa cosa l’ho avuta per tanti anni. e che non mi ricordava le cose, quindi me lo ricordo come se fosse una specie di sogno. Però mi ricordo che comunque mia sorella mi ha salvato proprio nel vero senso della parola. E mi ricordo che quel giorno lei mi aveva anche tirato uno schiaffo, perché questa cosa proprio mi ricordo, mi è rimasta impresa perché… come se mi avessi fatto svegliare, perché io stavo pensando già quello che io volevo fare in quel momento.
Cioè che non volevo più vivere. Quindi ero sicuro, io avevo deciso tutto, avevo tutto quanto calcolato. Insomma, ero a casa da solo. Avevo, diciamo, le mie due sorelle. E mi ricordo che, se non mi sbaglio, non mi ricordo, me le avevo fatte allontanare, mi ricordo quel giorno.
Cioè, le avevo fatte salire sopra. a prendermi un cd, non mi ricordo. C’era anche la mia sorella più piccola, però lei era rimasta vicino a me. Lei faceva le elementari, mi ricordo. Le ho fatto andare a prendere una coperta per farle andare al piano, perché la mia casa è composta da due piani.
Diciamo che, cioè, le volevo far salire sopra perché volevo chiudere la porta comunicante, insomma, tra sopra e sotto. E quindi così ho fatto. Poi vabbè, non mi ricordo poi comunque quello che è successo dopo, però…
Allison Dye:
Però ti ha salvato, ti ha salvato la vita.
Luca Di Pasquale:
Per delle piccole fortune, perché comunque io non avevo incastrato la chiave, cioè non avevo tolto la chiave, quindi lei era riuscita con l’altra chiave, cioè ha fatto cadere non mi ricordo bene. Comunque, aspetta, io avevo messo la chiave però lei era riuscita a toglierla dall’altra stanza, perché le chiavi sono tutte uguali, le porte, non mi ricordo.
Nicole Calvani:
No, quindi è riuscita a aprire lei.
Luca Di Pasquale:
È riuscita a aprire dall’altra stanza, perché io avevo chiuso comunque la chiave dalla parte mia, però lì non so come ha fatto che era riuscita.
Allison Dye:
Sì.
Luca Di Pasquale:
Insomma, poi comunque mi ha salvato, mi ricordo, mi ha tirato questo schiaffo, mi ricordo, e mi ero rimasto proprio… Mi ricordo poi da quella volta poi non mi è più ricapitato, perché mi ero accorto dopo che ero rientrato dal terrazzo che avevo paura della stanza. Invece in quel momento non avevo paura. Però dopo mi ero accorto che avevo veramente paura di quello che avevo fatto. Infatti poi da quel giorno mi ricordo, ora sono passati quattro anni mi sembra, quattro cinque anni, e infatti poi non..
tutt’ora quello è un terrazzino. Io mi ricordo sono cinque anni che non ci rientro più.
Allison Dye:
è comprensibile è comprensibile.
Luca Di Pasquale:
È l’unica stanza in cui io non vado, non mi ricordo nemmeno più come è fatto poi, perché ho deciso io di non andarci più. Non vado proprio vicino alla finestra, non ci passo vicino, perché mi è rimasta questa cosa.
Allison Dye:
Sì, certo, certo. Allora Luca, penso che il nostro cervello, anche il nostro corpo, si dimentica tanti dettagli di eventi traumatizzanti, anche per la nostra protezione, quindi sono grata per questo, per te. E sono anche contentissima in questo momento, pensando al fatto che c’è la tua sorella che ti ha salvato. Sono così contenta che quasi mi viene da piangere.
Luca Di Pasquale:
Sì, io sì. Tutto ora comunque ho un bellissimo rapporto con lei. Non parliamo mai di quell’avvenimento, però tutte e due comunque ci vogliamo tanto bene, perché comunque lei è più grande di me, quindi di quattro anni.
Allison Dye:
Sì.
Luca Di Pasquale:
E comunque l’ho sempre vista come punto di riferimento…
Allison Dye:
Sì. Penso che non servono sempre le parole. Vi capite.
Luca Di Pasquale:
Sì, sì, ci capiamo. Sì, sì, sì.
Nicole Calvani:
Luca! Ora spunto io dal nulla. Senti, tu sei stato intervistato da fanpage, no?
Luca Di Pasquale:
Sì.
Nicole Calvani:
Che questo, oltre che è un passo enorme quello che stai facendo con noi, insomma, io passare comunque da non parlare a riuscire ad esprimersi, secondo me, è una delle cose più belle che possono capitare. Perché davvero iniziare a sfogarsi, a dire ciò che si pensa, è una liberazione. Dare un nome a ciò che si ha, soprattutto, lo capiamo bene tutti, cosa si prova. Com’è stato? Com’è capitato?
Perché non è stato facile, mi hai detto. Non è stato facile assolutamente, come non è facile ora quello che stai facendo con noi, perché è totalmente comprensibile. Innanzitutto, come sei stato contattato? Cosa hai provato al momento che ti ha chiesto comunque di esporti?
Luca Di Pasquale:
Allora, avevo tanta paura perché ero più piccolo e comunque ero ancora sotto terapia. Tutto ora sono sotto terapia, però ero proprio in un culmine. non ancora, diciamo, mi toglievo le cose alle spalle. Era proprio uno dei periodi più pieni.
Quindi, non lo so, io ho accettato. Non lo so, tornassi indietro, cioè, non lo farei così semplicemente. Perché mi ricordo che quegli anni facevo tutto, essendo, dopo quello che mi era capitato, quella brutta cosa, vivevo proprio ogni giorno così al massimo. Quindi, quando mi ha fatto questa proposta, io ho subito accettato, senza pensare che l’avrebbero letto tutti, senza… Non c’avevo pensato più, non c’avevo rifletto più di tanto, diciamo.
Nicole Calvani:
E dopo quando è uscita come ti sei sentito? Il momento che comunque, per esempio, i tuoi genitori l’hanno letta oppure sono stati all’oscuro?
Luca Di Pasquale:
Sì, sì. Allora, i miei genitori erano ormai, quell’anno ormai erano, avevano totalmente capito tutta la situazione.
Nicole Calvani:
Bene.
Luca Di Pasquale:
E lo stesso, mi stavano proprio vicino, mi sono stati proprio vicino. I primi anni era un po’ più difficoltoso perché ancora capivano molto. Però poi sono stati proprio sempre accanto, hanno sempre capito tutto, tutto il mondo, tutto questo mondo della psicologia, malattie psichiche, che comunque ora sono proprio bravi, sono stati contenti. Mio padre era un po’ più titubante, perché aveva paura che le persone, magari leggendo la… non lo so, la mia storia, perché quella è una storia che comunque si può commentare quando fa un video pubblico, quindi aveva sempre questa paura che io magari mi rivedessi quei commenti di persone che magari ignoranti e quindi potessero finirmi, prendermi in giro.Voleva proteggerti!
Allison Dye:
Voleva proteggerti!
Luca Di Pasquale:
Si, aveva questa paura che riuscisse tutta la situazione. Invece mia mamma era contenta perché quando gliel’ho detto, mi ricordo, lei non c’era, era al lavoro pero quando é tornata gliel’ho detto ed era contenta, mi ricordo. Mi ha abbracciato, ammetto che è una bella cosa.
Nicole Calvani:
Che bello. E le persone invece che comunque t’hanno bullizzato, t’hanno provato a ricontattare oppure sono rimasti, insomma?
Luca Di Pasquale:
Allora, io questo infatti l’avevo fatto maggiormente anche per il mio paese, perché nessuno stava capendo un tubo di quello che mi stava succedendo e di quello che mi avessero fatto. e quindi l’ho fatto maggiormente anche per quello, anche se anche per dare un esempio a tutte le altre persone che passavano questo periodo. Due persone, mi ricordo che sì, due persone, tra tutte le decine e decine e decine di persone che mi hanno fatto del male, sono state le uniche che sono venute a casa mia e mi hanno chiesto, insomma, scusa. Mi hanno lasciato parlare, mi hanno lasciato raccontare, diciamo, mi hanno lasciato raccontare quello che avevo vissuto io a causa loro e quello che stavo passando, perché io già ero sotto terapia da psicologi, prendevo i farmaci, insomma, mi ricordo una buona oretta l’ho passata a parlare con tutti e due questi. Uno era un ragazzo e uno una ragazza.
Nicole Calvani:
E tu come ti sei sentito al momento che comunque loro si sono presentati per capire oltretutto, sì, cosa stesse succedendo, ma soprattutto per chiederti scusa per quello che comunque ti hanno causato, perché…capisco che non é facile!
Luca Di Pasquale:
Si, io non volevo rincontrarli, non volevo raccontare le mie cose, non volevo ricacciare la mia storia perché passando dai dottori bisogna raccontare la propria storia e l’ho proprio vissuto non si sa quante volte. Sono arrivato a un punto veramente, fino all’anno scorso, che veramente ho fatto la nausea per tutte le persone a cui ho dovuto raccontare. Però mi dava proprio… avevo una rabbia, mi ricordo quel giorno. Avevo una rabbia, avevo proprio voglia di incontrarli solo per fargli capire tutto quello che mi avevano causato, però con rabbia.
Avevo tanta rabbia. Non avevo più quella gentilezza che ho sempre avuto. Avevo tanta rabbia. Però poi, parlando, sono riuscito comunque a calmarmi, però allo stesso tempo a farmi capire e far capire che le cose che avevano fatto erano gravi. Loro, comunque, mi ricordo che hanno sempre messo la scusa al fatto che quando uno è piccolo non capisce.
Però io ripetevo sempre la stessa frase, che nessun bambino nasce cattivo. Però se i genitori hanno l’educazione di educare il figlio alla gentilezza e alla parità di tutto, il figlio nasce educato. In più, anche i miei genitori mi hanno cresciuto in modo educato, però se io avevo una persona che magari non piaceva o non mi stava bene, io non mi comportavo in quel modo, le ho fatto capire. Bisogna anche avere un po’ di maturità, le ho detto, anche quando uno è piccolo, di capire che comunque quando una presa in giro va male, una volta ci sta ma per tanti anni, quindi non possono mettere la scusa del fatto dell’età, diciamo, dell’età piccola.
Anche perché molti di loro avevano continuato anche fino alle superiori, quindi non ci sta niente di essere piccoli. Fino agli elementari va bene, però già dalle medie fino alle superiori una persona riesce comunque a essere matura, a sapere che non ti deve far soffrire un’altra persona. Loro mi hanno ascoltato e diciamo hanno detto anche la loro, hanno sempre ovviamente comunque sminuito il fatto, cioè che sì, loro non se lo ricordano nemmeno, che per loro era un gioco o così. E hanno sempre detto che loro non volevano assolutamente causarmi del dolore. Io però mi ricordo quel pomeriggio, mi ricordo, ero proprio arrabbiato.
Infatti avevo iniziato a dire tutto quello che pensavo, io prima non parlavo mai. Quindi dicevo tutto quello che pensavo e anche in modo bello acceso. Cioè ormai non mi tenevo più nulla dentro. Infatti gli dicevo che Sì, loro non se lo ricordano, però essendo una cosa che hanno fatto con tanta frequenza e comunque essendo ancora grandi alle superiori, non lo possono sminuire perché, li ho detto, che comunque la maggior parte è a causa loro. Io ora sto così.
Le ho spiegato tutti i problemi che comunque avevo e che comunque loro comunque si potevano divertire, potevano uscire, potevano divertirsi. Io dovevo forse rimanere in casa perché le ho spiegato che comunque loro ora stanno bene. Io invece a causa loro…
Nicole Calvani:
Stai pagando!
Luca Di Pasquale:
Sto pagando e ancora tuttora, perché comunque faccio ancora terapia da psicologo. Prima andavo quasi tutti i giorni, poi una volta a settimana, ora ci vado ogni 3-4 mesi. Faccio comunque una cura farmacologica per le attacche di panico e la depressione. Insomma, glielo ho cercato di far capire in tutti i modi, sia a loro che anche ai loro genitori, perché avevo una rabbia anche per i suoi genitori, perché sono venuti ovviamente con i genitori. Dopo aver finito di parlare con loro, ho scambiato pure un po’ di parole con i genitori.
Perché avevo questa rabbia, perché avevo rabbia, perché anche i genitori sminuivano, mi ricordo molto. Dicevano, mi ricordo questa mamma, la mamma di questa ragazza, diceva, mi ricordo questa frase che ha detto che, vabbè, sono cose che comunque succedono da piccoli, almeno è una cosa che imparerà a crescere. E io, dopo quando mi ha detto. Quella frase, sono proprio…
Allison Dye:
Anche io mi incavolo ora.
Luca Di Pasquale:
Mi sono proprio arrabbiato, perché io gli ho detto, lei ha detto che queste cose fanno maturare. Io le ho detto, io in realtà ero già abbastanza maturo per l’età che avevo, perché non ho mai fatto del male a nessuno, ho sempre aiutato gli altri, mi sono sempre tenuto tutto dentro, non ho mai puntato il dito contro nessuno. Quindi ero già maturo, non mi serviva questa cosa per maturare. Gli ho detto, quelli che devono maturare sono i vostri figli. E gli ho detto che la prossima volta dovrebbero impegnarsi un po’ di più ad educare i loro figli, perché gli ho detto che tutto parte comunque dai genitori.
Se il genitore giudica un’altra persona, è facile che anche il figlio inizi a giudicare gli altri. Quindi tutto parte anche dai genitori. Lei mi ricorda che infatti non mi ha risposto è rimasta, mi ricordo, imbarazzata. Poi mi hanno salutato. Io però mi sentivo proprio libero, veramente.
Dopo che erano andati ero proprio, guarda, stavo proprio sereno, mi ero sfogato. Anche se loro erano solo due persone a chiedermi scusa di oltre una cinquantina di persone. E tuttora nessuno mi ha chiesto scusa. Quando sono iniziato a stare un po’ meglio, sono iniziato a uscire con il mio cane per scerni, perché proprio il mio cane mi è stato preso proprio per aiutarmi. E ho ricominciato ad avere delle prese in giro.
Nonostante io… molti sapevano già che io stavo male, hanno ricominciato tutto da capo, nonostante… c’è proprio… come se non fosse successo nulla. Quindi i miei genitori sono stati costretti per tutelarmi, perché ovviamente non è che io posso rimanere chiuso in casa per colpa loro.
E quindi hanno dovuto chiamare i carabinieri del mio paese per fare i nomi di tutte le persone che… che comunque mi continuavano a prendere in giro, sono stati chiamati in caserma, perché sono cose che comunque sono denunciabili. I carabinieri mi hanno chiesto se io volessi denunciare, ma io non ero pronto, perché comunque è tutta una cosa lunga, bisogna andare in tribunale, è assolutamente denunciabile una persona che bullizza per anni e continua a bullizzare, è una cosa assolutamente denunciabile. Però io non l’ho mai voluto fare, perché ricominciare tutto da capo in un tribunale, bisogna raccontare tutto da capo, bisogna avere la famiglia e quella persona sempre di fronte. Non me la sono mai sentita e tuttora non me la sento.
Però comunque dopo che sono stati chiamati tutte queste persone si sono calmate, perché si sono spaventate, hanno capito la gravità della cosa. Perché poi gli era spiegato anche questo carabinieri con l’aiuto di una psicologa, non mi ricordo ora. Però questi carabinieri, nel senso, gli avevano chiesto di sono stati convocati i figli con la famiglia, di venirmi a chiedere scusa e tuttora non mi hanno chiesto scusa.
Allison Dye:
La cosa che mi viene in mente è che praticamente è la scusa che hanno tantissimi genitori. O sono piccoli, sono cose che capitano, ma poi voi siete quasi adulti che continuano a farlo perché sono talmente abituati e quindi bisogna spiegare ai bambini, fin da piccoli, che non si fa.
Luca Di Pasquale:
Sì, brava, sì. Io ho questo, infatti, ho cercato di spiegare pure quando ho contattato Fanpage. Voglio proprio che dai genitori deve partire tutto il fatto di Nessun animale, nessuna persona nasce cattiva. Tutti quanti dentro scelgono come comportarsi, se agire nel bene o nel male. Però il genitore è che deve indirizzare il figlio e fargli capire che comunque siamo tutti uguali, non bisogna prendere in giro una persona solo perché magari è diversa da noi, è più timida, non dice parolacce o altre cose.
E poi i figli ovviamente capiranno subito.
Nicole Calvani:
E ci vorrebbe poi molta più educazione anche nelle scuole, a partire dai professori. A partire dai professori!
Allison Dye:
Esatto.
Luca Di Pasquale:
Ho ancora paura, cioè questa cosa, nonostante ho parlato con tanti psicologi, io ho ancora paura delle scuole. Quando passo di fronte a una scuola mi viene proprio un magone, a me viene… questa paura non mi è andata. Non ho più paura di uscire. Questa cosa sì, quando devo uscire non ho più paura.
Ho fatto la riabilitazione alla schiena, non ho più problemi alla schiena perché l’ho dovuta raddrizzare, perché a causa loro ho anche problemi alla schiena.
Allison Dye:
Sì, sì, sì.
Luca Di Pasquale:
Ora io quando devo uscire esco, vado a fare la spesa, esco col mio cane. e non ho paura di nessuno. Però questa cosa della scuola mi è rimasta. Quando passo davanti a una scuola o esce un argomento, mi rimane ancora il magone. Io penso che tutte le ferite che uno ha, tutte le cicatrici, si rimarginano, però comunque rimangono.
Allison Dye:
Si.
Luca Di Pasquale:
Io le ho rimarginate tutte, però comunque mi rimangono nel cuore.
Allison Dye:
Si.
Nicole Calvani:
Luca, qual è il tuo messaggio?
Luca Di Pasquale:
Allora, io proprio, la cosa che proprio voglio è che proprio deve passare che innanzitutto le malattie psichiche, come la depressione, l’ansia, l’attacco di panico, e ce ne sono tante altre, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo bipolare, vengano più presi in considerazione perché si fa, si fa, si sminuisce ancora il fatto che, com’è una cosa che non si vede, essendo che tu non stai, diciamo, allettato in un ospedale e quindi la persona che ti viene a trovare ti vede che stai male. Perché tuttora molti familiari non hanno ancora capito questa cosa. E quindi proprio è una cosa che spero che si capisca che sono malattie invisibili, però sono cose serie che comunque possono stare male, possono portare anche alla morte.
Nicole Calvani:
Se sorrido non vuol dire che sto bene.
Luca Di Pasquale:
Si brava, tante persone, io ho stato in questi anni, quando mi vedevano per il paese mi dicevano ma pare che stai bene, sorridi. E’ normale, quando io esco sorrido perché io voglio sorridere alla giornata e alla mia vita, ma non vuol dire che io prima di uscire stavo bene. Probabilmente mezz’ora prima ho avuto un attacco di panico e ho pianto, sono stato male, però poi comunque ho la forza di sorridere. Quindi si fa caso ancora tanto a questo che come non si vede una cosa, non esiste. E questa cosa nel mio paese…
Nel mondo, comunque in Italia, comunque ancora non viene capita, spesso anche dai genitori. Molte persone, molti figli rimangono da soli perché nemmeno i genitori riescono a capire fino in fondo cosa il figlio abbia. E poi magari è troppo tardi.
Nicole Calvani:
Luca, prima che ci finisca il tempo, io, se non ti dispiace, vorrei dire che a te ti piace cucinare perché io sono andata a vedere il tuo profilo l’altro giorno e fai delle torte stratosferiche e non solo. Cioè, raccontiamo un po’ questa cosa. Dove è partita la passione per cucinare? Perché, ragazzo mio, una garetta a bake-off non farebbe male, eh?
Luca Di Pasquale:
A proposito di questo, infatti, io non mi sono mai perso una stagione di bake-off. Ho mandato parecchie volte la candidatura. Una volta mi avevano chiamato, ma io ho mandato la candidatura così, giusto per scherzare, ma poi non mi sono presentato.
Nicole Calvani:
Eh, vabbè, ognuno ha i suoi tempi.
Luca Di Pasquale:
Volevo provare. Sì, è nato tutto praticamente da cinque anni fa, perché io, appena ho iniziato a stare male, prima che avevo il mio cagnolino, ho trovato proprio conforto nella cucina. Proprio avevo questa voglia, ma fin da piccolo mettevo sempre le mani in pasta, però non mi è stata mai data la possibilità di farlo. Perché, come magari ero maschio, così e così non me lo facevano fare. Però poi i miei genitori mi hanno capito e lo stesso.
Avevo questa taverna e l’ho tutta sistemata, ristrutturata, e ho iniziato a cucinare, a fare i primi biscotti, e ci passavo le ore. Cioè proprio avevo un attacco di panico e io sceglievo in quel momento di andare a cucinare. Cioè io, mentre avevo un attacco di panico, preparavo gli ingredienti per scendere sotto. Cioè sono riuscito, perché tante volte i dottori non sempre aiutano in tutto, perché comunque spesso e volentieri sono riuscito ad aiutarmi da solo, a trovare dei metodi per calmare l’attacco di panico o la tristezza o l’ansia da solo. Molte volte i consigli dei medici mi hanno peggiorato, quindi in molti casi devo dire che comunque io mi sono trovato bene con i miei metodi.
Infatti tutt’ora faccio così e infatti sto meglio. E infatti io scendevo subito, mi ricordo, perché questo sta a tre piani sotto la mia taverna. Devo fare tre piani. E straprendevo gli ingredienti, nonostante comunque mi mancava l’aria. Mi straprendevo gli ingredienti, strasceglievo una ricetta veloce.
E mentre la facevo,mi accorgevo, se ne andava da solo, cioè non ci pensavo. Ho capito che il segreto era il non pensarci, perché più pensavi al fatto che mancava l’aria…
Nicole Calvani:
Peggio è!
Luca Di Pasquale:
E più mancava l’aria. Quindi era una cosa che ovviamente all’inizio uno fa fatica perché ad approcciarsi con gli attacchi di panico, magari con la depressione, non sai come comportarti. Però poi, a furia di magari comunque di averla, di viverci, inizia a trovare delle escamotage. Quindi poi cucinando io ad esempio non me ne accorgevo, ho finito il dolce che non ce l’avevo più e non me ne ero manco accorto.
Nicole Calvani:
Quindi anche cucinare ti ha salvato la vita in un certo senso.
Luca Di Pasquale:
Sì, tanto, tanto. Il giardinaggio veramente è stata proprio la mia ancora perché è stata la prima cosa a cui mi sono ancorato perché prima delle persone, prima di parlare Con la mia famiglia mi sono ancorato proprio alla cucina. Passavo i pomeriggi interi da solo a cucinare e io stavo bene. Io ancora facevo comunque terapia, prendevo i farmaci e proprio il fatto di comunque toccare l’impasto, di dosare gli ingredienti, di aspettare la cottura, proprio un senso di rilassamento me lo fa tutt’ora. Ormai sono passati cinque anni.
Nicole Calvani:
E anche il giardinaggio, gli animali, giusto?
Luca Di Pasquale:
Sì, per gli animali tanto. Perché il mio cane mi è stato preso proprio… mi ricordo quando ho lasciato la scuola, è stato preso il mio cucciolo, che è un meticcio, si chiama Tobi, è tutto nero. E praticamente ho sempre voluto un meticcio perché volevo salvare qualche cane dalla strada. E ho trovato questa opportunità a Scerni, che stava una signora che comunque li aveva abbandonati.
Ed era l’unico cucciolo più piccolo degli altri, della cucciolata. L’unico nero. E l’unico che i fratellini, insomma, gli facevano i dispetti. Gli tiravano le orecchie, lui piangeva. E quindi proprio mi sono ritrovato tanto in lui.
Ed è l’unico che si è addormentato sopra di me. Quindi è stato proprio un amore a prima vista, perché mi sono ritrovato tanto in lui.
Nicole Calvani:
T’ha aiutato tanto anche lui!
Luca Di Pasquale:
Sì, tanto, tanto. Lui tantissimo. Lui e la cucina sono proprio… le cose che mi hanno aiutato di più. Tutt’ora io passo tanto tempo con lui.
Cioè, sto sempre con lui e mi capisce. Spesso mi ricordo quando piangevo, mi leccava le lacrime, quando avevo degli attacchi di panico. Lui lo sentiva e mi ricordo che pure lui ansimava. Però mi calmava, mi portava il giochino e lui mi faceva distogliere l’attenzione. Perché lui voleva che in quel momento davo l’attenzione su di lui.
I cani veramente, tutti gli animali, capiscono quando stai male. Infatti lui tutt’ora lo sa, cioè lo capisce. Lo sente proprio. Quando non mi sento tanto, lui porta un giochino, oppure mi fa cenno che vuole uscire. Insomma, gli voglio bene.
Allison Dye:
Quindi hai trovato speranza in queste cose, nei tuoi animali, nella cucina?
Luca Di Pasquale:
Sì, ho ritrovato tanto speranza in queste cose. Perché prima non avevo più speranza di nulla, ora invece vivo la giornata proprio al massimo. Non speco nemmeno manco un minuto. Durante la giornata non mi fermo, faccio sempre qualcosa perché ho capito, ha discapito mio che la vita comunque è corta e quindi bisogna viverla minuto per minuto perché non ce ne ridanno un’altra, ne abbiamo solo una.
Nicole Calvani:
Sai, Luca, a 22 anni hai molto da insegnare bimbo, fattelo dire, c’è tanto da insegnare, complimenti per il coraggio e la forza che hai avuto, soprattutto la forza che hai avuto comunque di arrivare anche fin qui, perché lo sappiamo entrambi, anche prima ne abbiamo parlato, questo è un passo grande, comunque anche parlare con noi, raccontarlo ad altre persone soprattutto, è un passo anche bellissimo che stai facendo, perché fai capire cosa si prova dall’altra parte.
Allison Dye:
Ed è stato un onore sentire tutta la tua storia oggi, davvero. Rimango senza parole perché mi fai riflettere molto su tutto quello che hai detto e ti posso dire solo grazie.
Luca Di Pasquale:
Grazie a voi, a tutte e due, veramente tanto.
Allison Dye:
È stato davvero un piacere.
Luca Di Pasquale:
Anche per me. Spero che continuerete così, perché comunque date serenità e fate capire comunque tutte comunque le malattie che ci sono, che devono diventare visibili, Grazie di cuore!
Nicole Calvani:
Luca vale anche per te, mi raccomando.
Allison Dye:
Forse le persone vorranno andare a vedere questi dolci di cui abbiamo parlato e magari se dici come seguirti su Instagram, solo se vuoi.
Luca Di Pasquale:
Sì sì, allora io mi chiamo, se non mi sbaglio, LucadiPasquale99, dovrebbe essere.
Allison Dye:
Vi ringrazio a tutti e a due, grazie Nikita per essere stata qui con me e grazie Luca per aver raccontato la tua storia. Grazie a voi.
Nicole Calvani:
Grazie a voi, un abbraccio grande.
Luca Di Pasquale:
Un abbraccio.
Allison Dye:
Abbraccio, Ciaoo!
[SIGLA OUTRO: Musica, canzone con testo:
“I just know you got that somethin’,
That somethin’,
Somethin’ special ‘bout you!”]