Paola Turbian, sostegno scolastico ed inclusione

In questa puntata Paola Turbian ci racconta della sua esperienza da insegnante di sostegno di bambini con disabilità.

Trascrizione

Ci servono le trascrizioni e dato che Allison e Nicole non hanno sempre il tempo di fare tutto da sole, questa trascrizione è qui solo grazie ad Alessandra Vallera che ha voluto darci una mano.

Se vuoi aiutare a trascrivere le puntate anche tu, contattaci!

 

Allison Dye: Ciao a tutti e benvenuti al podcast “Ma non sembri malata”. Io sono Allie.

Nicole Calvani: E io sono Nikita

Allison Dye: E siamo qui di nuovo con Paola Turbian.

Paola Turbian: Ah io inizio con “Something special to my life something special…la la la About you”

Allie e Nicole Calvani: Ahahhahaha.

Allison Dye: Adoro.

 

[SIGLA INTRO: Musica, canzone con testo:

 

“I just know you got that somethin’,

That somethin’,

Somethin’ special ‘bout you!”]

 

Allison Dye: Paola è stata con noi in altre puntate e oggi Paola parlerà con noi dalla sua prospettiva di maestra. Condividerà sull’argomento di inclusione e impareremo tutti da ciò che condividerà oggi. Ciao Paola, benvenuta.

Paola Turbian: Ciao Allie, ciao Nicole, ma è sempre un piacere, siete i miei tesorini, lo sapete.

Allison Dye: Anche per noi

Paola Turbian: Farei mille puntate e più solo per il pezzo che canto nelle orecchie ai nostri gentili podcast ascoltatori.

Allison Dye: Nooo.

Nicole Calvani: No dai.

Paola Turbian: Di cosa parliamo allora oggi. Inclusione, da dove iniziamo.

Allison Dye: Da quanti anni fai la maestra?

Paola Turbian: 15.

Allison Dye: 15 anni e in tutto questo tempo hai lavorato con bambini con disabilità, giusto?

Paola Turbian: Sì sì sì.  Per 14 anni con bambini con disabilità, il primo anno ho fatto per tutti, per la classe però avevo un bambino con disabilità in classe. Ho preso la specializzazione, sì, sono specializzata, cioè proprio ho preso…

Allison Dye: Benissmo.

Paola Turbian: dopo la laurea praticamente la specializzazione per il sostegno, quindi se qualcuno ci sta ascoltando, ha questa idea, ma fatelo, che le maestre di sostegno sono sempre poche, c’è un fuggi fuggi da questo lavoro che è molto difficile, è arduo in alcuni momenti però dà tanta soddisfazione.

Allison Dye: Bellissimo, bellissimo. E dove vuoi partire oggi,  con questo argomento di inclusione dalla tua prospettiva di maestra.

Paola Turbian: Beh innanzitutto… vabbè  dalle cose più banali perché poco tempo fa mi hanno detto “Ma tu che sei maestra di sostegno, stai in classe, cosa fai? Qual è il tuo ruolo?” Ma però in generale dico, i genitori in generale, le persone in generale, hanno quest’idea dell’insegnante di sostegno così, sta fuori, che è eccetera eccetera, in realtà ricordiamo che la leggi italiana, dal 1977, prevede che l’insegnante di sostegno sia in classe ed la ritiene corresponsabile dell’insegnamento a tutta la classe per cui i voti li mette anche l’insegnante di sostegno insieme agli altri insegnanti, è responsabile di tutto, dei voti, ha la cotitolarità, quindi è responsabile di tutto. E’ chiaro che  l’insegnante di classe mette i voti perché è lei che fa fare le verifiche, però in sede di scrutinio l’insegnante di sostegno interviene e dà la sua visione di ciascuno alunno secondo il suo punto di vista. Chiaro che lei è responsabile del proprio alunno, però comunque aiuta e accompagna l’insegnante di classe per tutti.

Nicole Calvani: Io ho avuto diversi insegnanti di sostegno, diversi, e spesso il ruolo di insegnante di sostegno però è stato sminuito, sottovalutato, come posso dirlo…

Paola Turbian: Sì.

Nicole Calvani: Cioè almeno quando andavo a scuola io.

Paola Turbian: Sì, beh, diciamo che poi… allora, io ho detto quello che prevede la legge italiana, poi le realtà scolastiche sono infinite e c’è di tutto di più. Poi c’è anche da dire che ci sono diversi modi di lavorare, diversi anche bambini, per cui è chiaro che i bambini hanno bisogno di esigenze particolari oppure hanno un programma totalmente diverso dalla classe in alcuni… tu puoi rimanere in classe e comunque trovare punti, sempre punti di accordo tra il loro programma e il programma della classe, puoi sempre farlo. Però comunque, ci sono momenti che loro hanno le loro esigenze, ed è giusto che li devi un attimo portare fuori, però insomma, non è che devono stare sempre fuori tipo ghetto, diciamo, ecco. Questa cosa qui non è prevista dalla legge diciamo e si tende comunque in generale a non farlo perché insomma è educativo fino a un certo punto. Poi è chiaro che dipende sempre dal bambino, insomma, dalla gravità dell’handicap del bambino, dalle mentalità delle varie insegnanti, perché insomma lo sappiamo, allora cioè… ognuno di noi è diverso, quindi come i medici trovi medici diversi, insegnanti trovi insegnanti diverse cioè è normale. Non è che vengo qui a dire “Il mondo è una favola”, però vengo qui a dire “L’inclusione è fattibile”. Si può, si deve fare, io ci credo, ci credo, ci ho sempre creduto ehm adesso sono disabile anch’io, a mia volta, però ci ho sempre creduto, a maggior ragione adesso ci credo doppiamente e quindi sì.

Nicole Calvani: Paola secondo te, quali piccole cose, gesti possiamo fare tutti quanti noi ehm per includere, no? Tutti quanti.

Paola Turbian: Comunque ti faccio un esempio della classe, ad esempio fanno un cartellone in classe con dei bambini ehm, dei  bambini sì, tutti diversi l’uno dall’altro e insieme. Ci sono però, c’è una bambina che magari ha una… ha delle capacità neurologiche molto molto compromesse, e quindi è faticoso pensare ehm, cioè inizialmente tutti noi “Beh, lei come fa a fare il cartellone” No? Cioè se ha queste capacità neurologiche. No, si fa il cartellone e anche lei può prendere parte attiva perché magari le si dà uno strumento che basta schiacciare, praticamente una specie di fustellatrice insomma, ovviamente regolata dall’insegnante, che lei basta che muova una mano, semplicemente muova una mano, e fa l’erba da mettere sul cartellone o fa altre cose da mettere sul cartellone. Questo dà un messaggio bellissimo, perché dà il messaggio che ciascuno di noi vale, è parte di una comunità e riesce a prendere parte ad un’azione collettiva. Ecco che il cartellone della classe è di tutti, l’hanno fatto tutti e il messaggio degli altri bambini, gli altri bambini allora dicono tutti possono fare qualcosa, prendere parte attiva della cosa. Che non vuol dire l’abilismo, ecc ecc, ma siamo tutti parte di qualcosa, noi valiamo per tutto quello che noi possiamo portare. Tutte le azioni che noi possiamo fare, anche le minime, hanno un valore, e hanno un significato perché fanno parte di noi, della nostra… del nostro essere. E non è perché uno è disabile o riesce a fare di meno, non conta niente. Oh, beh, che sarebbe un po’ l’andamento della società tante volte.. No, se è disabile…ma mi metto anche io dentro in questo calderone… E invece no, cioè, ognuno di noi può fare con cose semplici. Ho trovato questa questo messaggio, questo modo di fare le cose, ha una carica positiva per chiunque, per qualsiasi tipo di bambino, disabile e non disabile, perché dà un messaggio che è bellissimo, in cui si insegna ai  bambini che tutti valgono e quindi quando loro si troveranno in un contesto con un adulto, magari da grande, disabile, sapranno che anche questo adulto ha un valore è potrà comunque, nel suo modo, apportare un contributo, a un’azione collettiva.

Nicole Calvani: Molto bello, Paola.

Allison Dye: Bellissimo, molto. Perché questa cosa la porteranno avanti sempre.

Nicole Calvani: Sì.

Allison Dye: Avranno questi ricordi in classe, che tutti possono partecipare e tutti valgono e l’avranno per sempre questo messaggio secondo me.

Paola Turbian: Esatto, esatto, poi la cosa bellissima, cioè per me, al di là degli occhi del bambino disabile che si sente parte della… della cosa, della comunità, eccetera eccetera, ma anche i suoi…. i bambini, i suoi amici, sono ancora più felici perché poi i bambini sono molto sensibili, e allora sono loro i primi, ho visto bambini, bellissimi, una di quelle scene meravigliose, loro sono i primi che vanno lì e dicono “Dai ce l’hai fatta”, “Oh che bravo”, “Dai, vieni con me, ti aiuto io”, “Ma non ti preoccupare” perché per loro l’amicizia è fondamentale. Tu gli dici “Noi siamo un gruppo di amici, di amici” loro vanno via di testa perché è vero, se loro si sentono amici, amici di tutti, di qualsiasi altro amichetto, bambino, è bellissimo questo messaggio no? Sei mio amico al di là di quello che fai, di quello che sai non sai fare, di quello che capisci, come non sai capire. Non importa, sei mio amico. E cavolo che bel messaggio questo. Questa è inclusione fondamentalmente.

Nicole Calvani: Brava brava brava. Guarda lo insegnassero così dappertutto sarebbe sicuramente un mondo migliore perché io mi ricordo, per esempio ai miei tempi, quando la disabilità si tendeva anche a nasconderla, anche se purtroppo ancora adesso succede, un po’ meno, però succede, era totalmente diverso l’approccio, era totalmente diverso.

Paola Turbian: Certo.

Nicole Calvani: Ed è triste, è triste perché comunque se gli insegni questi valori fin da piccini poi se lo portano avanti nella vita.

Paola Turbian: Certo è tutto un altro modo di impostare la vita e anche un modo per ridurre quello che voi tante volte parlate, di questo abilismo interiorizzato che mi ha affascinato.

Nikta: Brava

Paola Turbian: Da tutte le volte che voi parlate io vado a cercare che cos’è questo abilismo interiorizzato. Ecco questa cosa qui.

Nicole Calvani: Questo è grazie a Gaia. Grazie Gaia perché ci ha fatto conoscere l’abilismo interiorizzato, perché ci hai colpito proprio tutti quanti. 

Paola Turbian: Sì, perché comunque anche lo stato italiano è un po’ contro l’abilismo,, cioè adesso non vorrei dire sciocchezze, no, però tengo a dire che anche per i documenti, e quindi anche per legge, ogni bambino con 104 deve avere un suo piano educativo individualizzato, si chiama, che l’insegnante traccia e questo piano educativo individualizzato deve avere degli obiettivi personalizzati che hanno una ripercussione positiva sul suo piano di vita generale e quindi sulla sua autonomia, quindi tanto perché questo è un’altra domanda che mi fanno spesso “Ma come… cosa fanno quelli che hanno il sostegno? Cose diverse ? No, in realtà dipende ovviamente dalla patologia del caso sempre, però hanno… cioè quindi c’è l’inclusione ma c’è anche la personalizzazione, la scuola italiana non ti dice sono di includere ma ti dice anche di personalizzare nello stesso tempo perché la personalizzazione dice appunto che ogni bambino ha un progetto di vita e quindi tu gli devi insegnare un obiettivo per il suo progetto di vita. Allora si coinvolgono gli esperti e i medici, i genitori, si fa una cosa tutti insieme per migliorare la qualità di vita del bambino. E’ un obiettivo che tu devi raggiungere insomma, in base alla tua persona. Insomma, i bambini leggono e scrivono, sono obiettivi che loro devono raggiungere, tutti i bambini devono raggiungere questi obiettivi e lui oltre a leggere e a scrivere, deve raggiungere altri obiettivi funzionali per la sua vita, per il suo progetto di vita, che tu metti giù con il tuo piano, tu insegnante metti giù con il piano educativo individualizzato che comunque deve essere sempre condiviso con famiglia,  medici e tutto quanto per cui l’insegnante di sostegno deve sempre parlare con i medici, non è mai sola.

Nicole Calvani: Questo non lo sapevo Paola, questa non lo sapevo ed è molto interessante. È bello sapere che comunque gli insegnanti di sostegno hanno anche… comunicano anche con i medici, che è fondamentale

comunque, no?, per un bambino con una disabilità. 

Paola Turbian: Certamente. Assolutamente, comunicano con i medici. Noi abbiamo delle riunioni prestabilite ogni anno, ad ogni tempo dell’anno, e dobbiamo sempre rendicontare tutto. Ma tutto il nostro progetto, cioè  in base a cosa io decido questi obiettivi, diciamo che i primi mesi dell’anno vanno per conoscere il bambino se non lo conosci oppure per rivederlo dopo l’estate se già lo conosci e quindi fai un’osservazione iniziale di come è il bambino e elabori degli obiettivi, prima presenti diciamo agli altri colleghi, perché non sei solo tu insegnate di sostegno, questo lo devi fare con gli altri colleghi e gli altri colleghi possono dirti “Sì, secondo me è ok, aggiungiamo questo, togliamo quello”. Comunque si discute insieme come team insegnanti, poi si presenta ai medici e alla famiglia, e si dice, quest’anno, questo è il piano, il piano che prevede tutte le sei aree del bambino, quindi l’area relaziona, l’area degli apprendimenti, l’area sociale, l’area dell’autonomia, l’area neurologica, cioè tutte le aree della persona sono in questo documento. Dopo si fa la verifica finale alla fine dell’anno, si riprende in mano il documento, e si dice questo, questo, questo, l’abbiamo raggiunto, quali progetti hai fatto? Ho fatto questo, questo progetto ed è sempre costantemente… cioè le riunioni sono sempre cadenzate ogni tot mese, dipende poi da quanto serve il bambino nel senso che puoi fare due riunioni perché va tutto bene o anche tre riunioni dipende, insomma, a quanto serve al bambino e in queste riunioni ti scambi i risultati delle tue osservazioni anche con i medici per cui se tu dici “Quando faccio questa attività lo vedo particolarmente irrequieto”, allora il medico che dall’altra parte sta facendo una terapia particolare dice “Sì perché sta facendo una terapia e io sto lavorando proprio su questa cosa qui e lui gli è difficile magari continuare a farlo a scuola” e quindi chiedetegli un po’ di meno, chiedetegli un po’ di più, a seconda di come dice il medico, di quello che dice il medico, è sempre tutto monitorato con il medico, sempre.

Nicole Calvani: Però, però, grazie Paola per avercene parlato, perché davvero io proprio  ero totalmente all’oscuro di questa cosa e ed è proprio… è un lavorone immenso comunque cioè direi, perché immagino che insomma anche emotivamente è abbastanza, come si dice, carico.

Paola Turbian: Il lavoro dell’insegnante di sostegno è tosto, infatti quando leggo, sento, commenti dei genitori stessi che “Eh, ma tanto lei fa sostegno, non è che faccia più di tanto”…eh, vabbéh, non faccio più di tanto…ma figurati, praticamente vivo con questi bambini, cioè poi tu ovviamente sei il punto di riferimento per questi bambini. L’insegnante del sostegno è responsabile anche di un messaggio che dà, e questo c’è da riflettere perché ognuno di noi manda un messaggio inclusivo, perché se l’insegnante di sostegno aiuta anche gli altri bambini che messaggio sta dando? Sta dando il messaggio al bambino che segue, che tutti hanno bisogno di una mano, non solo lui. Se l’insegnante di sostegno fa un progetto di teatro, di cucina, di quella… cosa sta dicendo? Che lei è l’insegnante di tutti, che può insegnare a tutti. Non è solo di lui e che, quindi, lui non è diverso dagli altri anche con il nostro modo di progettare, si fa inclusione. Ma questo è anche una cosa da riflettere, è una cosa che fa riflettere perché allora ognuno di noi con il nostro comportamento, dà un messaggio educativo ai bambini, cioè l’inclusione si fa tramite le nostre azioni e quindi quando noi vediamo un bambino disabile non soffermiamoci troppo sulle differenze, ma trattiamolo cioè, normalmente, cioè anche se in determinati momenti può essere che “Oddio non so come prenderlo” eccetera eccetera, allora documentiamoci. Di che cosa cosa ha bisogno quella disabilità in modo anche da poterci comportare più naturalmente possibile.

Nicole Calvani: Qui ci vuole un applauso Allie direi, perché quando hai detto documentiamoci è salito il momento più alto della puntata penso.

Applausi.

Nicole Calvani: Perché Paola hai praticamente detto tutto con “Documentiamoci” perché amen, proprio.

Allison Dye: Sì, sì, sì, sì, sì esatto.

Paola Turbian: Ahhahahahahah.

Nicole Calvani: No davvero, io, io… Grazie Paola grazie. E io avrei un’ultima domanda, poi Allie lascio a te. In tutti questi 15 anni no, d’insegnamento, qual è l’esperienza che ti ha lasciato il segno?

Paola Turbian: Ah.

Nicole Calvani: Se ne vuoi parlare, puoi parlare chiaramente.

Paola Turbian: Allora senza entrare troppo nei particolari…

Nicole Calvani: Certo.

Paola Turbian: Perché non voglio sconvolgere nessuno, eccetera eccetera. Cioè, beh, diciamo, guarda, è una domanda un po’ difficile, ma comunque cerco di rispondere. Le realtà della disabilità sono tantissime e ce ne sono tante di drammatiche e molto più drammatiche di quello che noi pensiamo, questo è vero, e però è anche vero una cosa, che proprio nelle realtà più drammatiche, mi hanno lasciato una carica positiva, un senso positivo. Ad esempio è proprio grazie a quei bambini che più soffrono, che più hanno sofferto, che io riesco a… sono riuscita ad accettare la mia disabilità, la sclerosi multipla, quando mi è arrivata ma comunque non in modo disperato, cioè non sono mai stata disperata, nella mia disabilità perché conoscevo faccine carine, angeliche, che avevano delle difficoltà, delle croci, e io mi dicevo sempre, cioè sapete la classica domanda che tutti si fanno “Perché a me?”. Ecco io quella domanda lì non me la sono mai fatta, perché a me? Perché in realtà ci sono tantissimi bambini, che da bambini avevano una vità così e voi lo sapete bene. E quindi io ho molto rispetto per questo. Quindi la mia disabilità mi è venuta alla soglia dei miei 40 anni ma… e quindi non mi permetto di dire perché a me. Allora questa cosa qua in realtà però dentro di me mi dà tanta forza, mi dà tanta forza perché mi fa sentire vicino a qualcuno, cioè è un legame che non puoi mai spezzare. Cioè io non è che vedo tutti i giorni i miei ex alunni e tantissimi non li sento neanche più e però comunque il legame dell’aver fatto qualcosa per gli altri, ti rimane, ti rimane dentro, cioè è una cosa che non… non puoi… non puoi spaccare, non c’è nulla di più bello secondo me ed è il motivo per cui nonostante i 15 anni insomma, anche di difficoltà, perché ricordiamo la pandemia ha portato tantissime difficoltà a scuola, ma soprattutto per i bambini di sostegno, perché comunque comunicare con uno schermo non è stato semplice, non è stato semplice per noi portare avanti quel progetto di inclusione che magari in classe si può fare, con lo schermo è più difficile farlo e quindi è stato difficile anche quello ma nonostante tutto continuo a farlo sempre con molta, molta gioia, molta passione proprio per questo. perché al di là della situazione disperata e drammatica, c’è un legame che è più forte di ogni cosa, quello che tu hai trasmesso e quello che tu hai ricevuto. Secondo me questa.

Allison Dye: Bellissime parole Paola, davvero e ti ringraziamo. Ho imparato molto da te perché… è per noi è la prima volta che viene qualcuno in puntata che fa da maestra di sostegno e quindi è stato bellissimo sentire comunque la tua prospettiva sull’inclusione e credo che per me ora cerco di non dilungare troppo, ma per me i punti più fondamentali che abbiamo sentito oggi sono questi, che ci vuole la collaborazione di tutti per raggiungere l’inclusione nella scuola, ma anche nella società, quindi è una cosa che possono… possono pensare tutti a questa cosa, questo concetto fondamentale e poi mi hai fatto anche molto riflettere sul fatto che ogni disabilità è unica e quindi bisogna avere l’accessibilità e l’inclusione che comprende ogni tipo di disabilità, quindi un’inclusione molto ampia…

Paola Turbian: Sì.

Allison Dye: Ci vuole.

Paola Turbian: Una conoscenza molto, una conoscenza, no? Perché quello che dicevo prima, quello che dicevi anche tu mo? Ognuno fa la sua parte nell’inclusione, sì, però tante persone sono bloccate perché non sanno chi hanno davanti, non sanno come comportarsi, per cui bisogna sapere le varie differenze delle varie disabilità e anche conoscerle, ma nello stesso tempo anche persone sdrammatizzare, nel senso dire che poi ognuno ha le proprie specificità no?

Allison Dye: Noi possiamo imparare anche dai bimbi, perché loro non partono con queste idee in testa. Queste… questi pregiudizi anche, questi blocchi mentali, anzi possiamo imparare moltissimo da loro e abbiamo imparato tantissimo da te oggi, Paola, e so che hai detto anche in altre puntate che comunque i bambini ti hanno insegnato molto in questi anni e che continui ad imparare da loro e ti ringraziamo per quello che hai condiviso con noi oggi.

Paola Turbian: Figuratevi.

Nicole Calvani: Esatto.

Paola Turbian: Grazie a voi. 

Nicole Calvani: Grazie mille. Paola, ricordiamo ai nostri ascoltatori dove ti possono trovare sui social?

Paola Turbian: Sì allora viaggidipassioni, Facebook e Instagram, volevo dire che nei viaggi di passione ci sono le interviste da viaggiatori resilienti, viaggiatori che viaggiano nonostante handicap e malattie. E questo perché credono nell’inclusione quindi è giusto che anche nel blog ci sia qualcosa di inclusivo, c’è un messaggio inclusivo che tutti possiamo fare tutto. Ahahahah.

Allison Dye: Esatto, esatto. Andate tutti a trovare il blog di Paola viaggidipassioni anche su Instagram potete seguire lei e suo marito con questo stesso nickname, viaggidipassioni e grazie Paola, grazie di cuore oggi e grazie a tutti coloro che stanno ascoltando, mandiamo degli abbracci a tutti.

Paola Turbian: Sì.

Nicole Calvani: Un abbraccio grande.

Paola Turbian: Un abbraccio grande grande.

Allison Dye: Perfetto. Grazie mille.

 

[SIGLA OUTRO: Musica, canzone con testo:

“I just know you got that somethin’,

That somethin’,

Somethin’ special ‘bout you!”]

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